Datazione incerta
Le cosiddette Regulae Augustini sono un trattato sulle otto parti del discorso trasmesso da sette manoscritti antichi, la maggior parte dei quali ne attribuisce la paternità a sant’Agostino.
Che il futuro vescovo d’Ippona avesse scritto un liber de grammatica è confermato da un passo delle Retractationes (1, 6, 6) in cui l’autore racconta come, durante il soggiorno a Milano nell’attesa di essere battezzato, avesse progettato di comporre una enciclopedia delle sette arti liberali che avesse lo scopo di guidare gradualmente il lettore dalla conoscenza delle realtà materiali alla contemplazione delle realtà spirituali e come avesse terminato soltanto il trattato sulla grammatica e, una volta rientrato in Africa, quello sulla musica, lasciando gli altri incompiuti. Tanto questi ultimi quanto il de grammatica andarono però ben presto perduti.
Le notizie contenute in questo brano hanno indotto molti studiosi, sin dai padri Maurini che iniziarono nel 1679 la pubblicazione degli opera omnia di Agostino, a dubitare dell’autenticità del nostro testo.
La scoperta effettuata nel 1852 da Angelo Mai di un’altra operetta grammaticale trasmessa sotto il nome di Agostino, la cosiddetta Ars pro fratrum mediocritate breuiata, ha ulteriormente complicato la questione, dal momento che le riserve espresse per le Regulae erano valide anche per questa e che così la comunità scientifica disponeva di due grammatiche apparentemente agostiniane ma entrambe potenzialmente spurie.
Le differenze di tipologia, struttura e contenuto tra le due opere erano talmente evidenti da far escludere che si trattasse di due epitomi, sia pure condotte con intendimenti e modalità diversi, di un’unica opera agostiniana. Né d’altra parte era possibile pensare che Agostino avesse composto, magari dopo la perdita del primo, un altro trattato, sia perché egli non dice nulla al riguardo sia perché non era prassi comune quella di scrivere due volte la stessa opera.
Dunque, soltanto uno dei due trattati pervenuti poteva eventualmente rappresentare l’originale agostiniano. Ed è merito di Ubaldo Pizzani e Vivien Law l’aver dimostrato in maniera definitiva, grazie a numerosi e probanti confronti interni con le opere autenticamente agostiniane, come questo potesse essere soltanto l’Ars breuiata.
Non è d’altronde un caso che l’autorevole codice Oxford, Bodleian Library, Addit. C 144, della seconda metà dell’XI secolo, unico rappresentante di uno dei due rami in cui è suddivisa la tradizione delle Regulae, trasmetta l’opuscolo senza indicazione di autore. La falsa attribuzione ad Agostino rappresenta evidentemente un errore (congiuntivo) degli altri testimoni.
Se quindi non è Agostino l’autore del nostro trattato, chi e quando lo ha composto? La domanda è destinata purtroppo a rimanere senza risposta, almeno allo stato attuale delle nostre conoscenze, anche se alcuni indizi possono essere utili per un orientamento di massima.
La presenza, in una sezione dedicata ai pluralia tantum, di un elenco abbastanza esteso di toponimi africani e l’affinità con il commento alle artes donatiane del grammatico africano Pompeo permetterebbero di ipotizzare che il redattore delle nostre Regulae fosse quantomeno di origine africana. Inoltre, alcuni elementi interni, come la presenza di citazioni tratte da poeti iuniores quali Lucano e Giovenale, la trattazione dei verbi neutropassivi (affrontati a quanto pare per la prima volta negli Instituta artium pseudoprobiani) e il parallelo con un passo del De ciuitate Dei di Agostino relativo all’irregolare participio mortuus, sembrerebbero suggerire una datazione compresa tra IV e V secolo d.C. Spingerebbe in questa direzione anche il confronto con le Regulae dello Ps.-Palemone, attribuibili all’inizio del IV secolo d.C., rispetto alle quali, pur derivando in parte dalla medesima fonte, il nostro trattato, ben più elaborato, sembra appartenere a un’epoca successiva. [L. Martorelli]