saec. II in. (floruit aetate Hadriani)
Illustre grammatico attivo presso la corte di Adriano, secondo quanto attestato da Gellio (11,15,3: Terentius autem Scaurus, divi Hadriani temporibus grammaticus vel nobilissimus […]) e dall’Historia Augusta (Ver. 2,5: Audivit Scaurinum grammaticum Latinum, Scauri filium, qui grammaticus Hadriani fuit), Terenzio Scauro (il praenomen ‘Quintus’ si legge in Carisio, 263, 11-12 B.) fu autore di un trattato De orthographia, pervenuto pressoché integro, e di altre opere grammaticali ed esegetiche, secondo quanto attestato dalle fonti. L’autorevolezza e la fama di Scauro emergono a più riprese dalla tradizione, consentendo anche di aggiungere qualche piccolo tassello a una biografia a tutt’oggi piuttosto oscura: ignoto rimane il luogo in cui egli nasce e si forma, anche se il trattato lascia intravedere una formazione nel solco dell’insegnamento quintilianeo; l’identificazione del grammatico con lo Scauro destinatario di una lettera di Plinio il Giovane, per ottenerne un parere su una sua oratiuncula (Plin. epist. 5,12 Mynors: C. Plinius Terentio Scauro suo s. […] Tu velim quid de universo, quid de partibus sentias, scribas mihi. Ero enim vel cautior in continendo vel constantior in edendo, si huc vel illuc auctoritas tua accesserit), nel confermare il ruolo di Scauro come punto di riferimento culturale e letterario del tempo, lascia ipotizzare un’attività del grammatico già sotto Traiano; i riferimenti di Gellio a suoi legami con Adriano, ma non con i successivi imperatori, ne attestano invece la morte entro il 138 o poco dopo. Accanto alle diverse citazioni da parte dei grammatici successivi (Carisio, Diomede, Prisciano) andrà poi considerato, a riprova di una fama duratura, il ricordo in autori come Ausonio (praef. 1, 18-20 Green; comm. 15,12; 27, 7 Green; epist. 10,27 Green) e Arnobio, sia pure, in questo caso, nell’ambito di una tirata polemica sugli usi linguistici dei pagani (nat. 1,59).
A Scauro oltre che l’Orthographia, sono attribuiti un’ars grammatica, citata da Carisio (169, 20 B.; 173, 4-5 B.), della quale forse lo stesso autore realizzò un’epitome (Law; Biddau); un commento a Virgilio, secondo l’attestazione di Servio (ad Aen. 3,484) e degli scolii veronesi all’Eneide (ad Aen. 4,146; 5, 95); forse un commento a Orazio, stando alle notizie ricavabili da Carisio (263,11-12 B.; 272, 27-28) e Porfirione (ad Hor. sat. 2,5,92): in questo caso, la menzione, in Carisio, di un decimo libro del commentario ha dato il via a una serie di ipotesi, per cui, considerando improbabile la composizione di dieci libri solo sull’Ars poetica, si pensa oggi a un commentario relativo a tutte le opere di Orazio (contrario all’esistenza di un commento scaurino a Orazio il Lo Monaco); sembra oggi inoltre superata l’ipotesi di un commento a Plauto (cfr. Biddau, XXIX-XXX n. 13). Al nome di Terenzio Scauro Gellio lega anche la composizione di un opuscolo sugli errori del grammatico Cesellio Vindice (Gell. 11,15,3: Scaurus […] inter alia quae ‘De Caeselli erroribus’ composuit […]; dubbi in merito sono sollevati da Tempesti, Quinto Terenzio Scauro, pp. 181-184: cfr. Biddau, XXX-XXXI). [Anita Di Stefano]