saec. VI
“A clumsy man [who] could hardly keep his Latin together”: così fu definito, a suo tempo, Jordanes da A. Momigliano. Il non lusinghiero giudizio, espresso dall’illustre studioso, ha a lungo pesato sulla fama dello storiografo e, del resto, esso sembra trovare parziale conforto nel ritratto, che, in un noto passo dei Getica (266), lo stesso Jordanes volle lasciare di sè: ego item quamvis agramatus Iordannis ante conversionem meam notarius fui. In anni recenti, tuttavia, l’essenziale riferimento auto-biografico, sottoposto ad attento riesame, ha fornito spunti per una rivalutazione della persona e delle opere dello storico (ex. gr. Goffart, Croke, Heather, Zecchini).
Come si evince dalla sua autocitazione, egli fu a lungo notarius, al servizio del magister militum (forse per Thraciam), Gunthigis, figlio della sorella di Candac, che si era distinto occupando la Mesia Inferiore e la Scizia. Di Candac, a suo tempo, era stato notarius Paria, nonno di Jordanes. Quanto alla sorella di Candac, aveva sposato un certo Andag, forse imparentato con il clan di Teodorico e discendente dalla stirpe degli Amali. In qualità di notarius di Gunthigis nei primi decenni del VI secolo, lo storiografo, probabilmente originario della Scizia o della Mesia, di stirpe gota secondo alcuni, alana, secondo altri (vd. Girotti), ebbe verosimilmente la possibilità di venire a contatto con molte notizie e documenti relativi alla famiglia stessa di Teodorico, facendone tesoro per la stesura dei suoi Getica. Quando Gunthigis lasciò la carica di magister militum, Jordanes si trasferì, forse, a Costantinopoli, dove attese alla stesura delle sue due opere, i Romana e i Getica, che terminò intorno al 551, in età ormai decisamente matura.
Da questo quadro risulta evidente come Jordanes fosse tutt’altro che illetterato, in quanto notarius doveva conoscere la lingua latina, che gli permetteva il contatto con il mondo militare, la lingua greca con il mondo amministrativo e il goto con la realtà locale circostante (Croke). Dunque la auto-definizione di agramatus sarebbe da intendersi piuttosto nel senso di non perfettamente dotato di un’istruzione formale (Croke); sempre che non sia imputabile a uno scherzoso atteggiamento di falsa modestia del medesimo Jordanes (Giunta-Grillone).
Quanto alla sua conversio, si è molto dibattuto se si tratti di un passaggio dalla religione ariana alla cattolica, o piuttosto di un trapasso alla vita religiosa, in qualità di monaco, oppure, come supposto già dal Mommsen, di episcopus, forse di Ravenna, o forse di Crotone (Luiselli Callu, con diversi punti di vista).
Verosimilmente a Costantinopoli, intorno al 551, Jordanes compose due opere, dedicate l’una alla storia dei Goti, con il titolo di De origine actibusque Getarum e nota come Getica, l’altra alla cronografia e alla storia romana, con il titolo di De summa temporum vel origine actibusque gentis Romanorum e nota come Romana. Entrambe furono ritenute in passato (a partire da Mommsen sino a Momigliano e Enßlin) ampiamente dipendenti, la prima dalla Storia gotica di Cassiodoro, la seconda dalla Storia romana di Simmaco. Soltanto in anni recenti all’autore è stata riconosciuta una certa originalità e indipendenza di giudizio nella lettura degli eventi e nella ricostruzione del contesto storico di riferimento (ex. gr. Goffart, Croke, Zecchini), anche in considerazione del fatto che le opere di Cassiodoro e di Simmaco non sono pervenute e risulta pertanto assai rischioso fornirne una valutazione non indiziaria. Come il medesimo Jordanes ricorda nella prefazione dei Getica, egli era intento alla stesura dei Romana, quando fu sollecitato dall’amico Castalio a redigere, su modello della Storia gotica di Cassiodoro in dodici volumi, i suoi Getica. Quando, infine, giunse al termine di quest’opera, tornò alla stesura dei Romana, dedicati a Vigilio, amicus fidelissimus, completandoli. Si è molto dibattuto sull’identità dei due committenti, Castalio e Vigilio, ritenuti ora personaggi storici, legati al mondo ecclesiastico (forse papi), ora figure immaginarie, destinate a celare illustri esponenti politici, forse lo stesso Giustiniano (Goffart). [G. Vanotti]